Al termine di un lungo e faticoso viaggio, Kyiv si apre al suo visitatore come uno scrigno barocco. Dalla stazione dei treni o, un po’ più lontano, da quella degli autobus, è un’ascesa fino al centro della città. Come Roma, Kyiv è una città di colline, di salite e di panorami. In questi giorni, Khreshchatyk, la grande via centrale della città su cui affacciano maestosi palazzi staliniani, è ingombra di decine e decine di rottami di blindati russi, disposti come nella parodia di una parata militare, l’unica concessione che gli ucraini in guerra si sono permessi per festeggiare il 24 agosto, giorno dell’indipendenza - soltanto stamattina la strada è stata riaperta al traffico.
Percorrendo il viale diretti alla Vecchia Kyiv si oltrepassa la Grande porta dorata celebrata da Mussorgsky che un tempo dava accesso alla città “Madre di tutti i Rus”. Khreshchatyk finisce dentro Maidan Nezalezhnosti, la famosa piazza dell’Indipendenza dove ha battuto il cuore di due rivoluzioni. Svoltando a sinistra e inerpicandosi per un’altra salita si arriva alla cima del colle San Vladimiro e qui, finalmente, il visitatore può apprezzare dove è arrivato.
Kyiv si stende ai suoi piedi in ogni direzione, punteggiata delle cipolle dorate dei monasteri e delle chiese, circondata dal verde dei boschi che attraverso i vasti parchi si insinua fin dentro alla città. E poi c’è il fiume, “un unico blocco di vetro, un’azzurra strada di specchio, smisurata in larghezza, sconfinata in lunghezza”. È l’immenso Dnipro, così grande che, scriveva Gogol, è raro che un uccello riesca a volarvi fin nel mezzo.
Non toglie più di tanto al lirismo che merita la città l’essere arrivato a Kyiv che era praticamente notte piena, appesantito da più di trenta ore di viaggio, trentacinque chili di bagagli e tramortito da un’umidità e una temperatura inaspettate - anche oggi la massima prevista è 36 gradi, con un’umidità vicina al cinquanta per cento. Kyiv rimane una delle più belle capitali dell’Europa orientale e allo stesso tempo una delle più vitali.
La guerra ha colpito duramente le sue cittadine satelliti, luoghi diventati tristemente famosi come Bucha, Irpin e Hostomel. Ma ha in gran parte risparmiato la capitale. Oggi è una sfida non semplice scovare palazzi danneggiati dalla campagna di attacchi aerei che il Cremlino ha lanciato lo scorso ottobre - e anche Bucha e le altre oggi hanno in gran parte riparato le ferite materiali lasciate dall’invasione. La vita a Kyivscorre normale. I locali sono pieni e le strade trafficate.
E questo ci porta al tema che volevo rapidamente toccare oggi: ossia la normalità in tempo di guerra. In questi giorni me ne sono occupato per Domani in due modi differenti. Il primo, con un articolo dedicato alle vacanze degli ucraini. Tradizionalmente, la festa dell’indipendenza segna la fine della stagione delle ferie estive, che quest’anno sembra essere andata meglio del previsto.
Sulle montagne dell’Ucraina occidentale e intorno a Lviv, dove gli ucraini vanno a sciare d’inverno e a prendere un po’ di fresco d’estate, i visitatori hanno raggiunto il 50 per cento del livello pre-pandemia, un risultato che ha sorpreso molti operatori turistici. A Odesa, un tempo capitale della nascente industria turisistica ucraina, per la prima volta hanno riaperto le spiagge e la leggendaria vita notturna cittadina ha ripreso almeno parte del suo vigore passato.
Tutto questo non è avvenuto senza polemiche, com’è inevitabile in un paese dove milioni di persone alla vacanze non possono nemmeno pensare. La tensione tra il desiderio di proseguire con la vita consueta, anche come forma di resistenza all’invasore, e la tetra sobrietà che richiede il tempo di guerra, non è di quelle che si possono risolvere.
In un paese democratico, normalità significa anche elezioni e scontri politici. Proprio questa settimana, Zelensky ha detto per la prima volta che se gli alleati lo aiuteranno è disposto a cambiare la costituzione per consentire elezioni anche sotto la legge marziale attualmente in vigore. Secondo molti osservatori, dietro questa decisione c’è soprattutto il desiderio di ottenere una riconferma mentre i suoi avversari sono disorganizzati e la sua popolarità ancora alle stelle. Ma come mi ha detto un deputato dell’opposizione, in tempo di pace le elezioni sono la normalità per una democrazia, ma durante una guerra possono persino danneggiarla.