
Qualche giorno fa, durante un incontro a porte chiuse con alcuni funzionari del ministero degli Esteri un diplomatico ha ammesso che l’approccio scelto da Kyiv per rapportarsi con il cosiddetto “sud del mondo” non sta funzionando. Quando gli ucraini provano a creare una connessione empatica sostenendo che anche il loro paese è stato a lungo una colonia di una potenza imperiale si sentono rispondere che le cose non stanno affatto così. Il diplomatico ricordava un collega di un paese africano che gli aveva personalmente suggerito di abbandonare del tutto questo argomento: tocca un tasto troppo sensibile e rischia di creare divisioni invece di favorire solidarietà.
Come probabilmente sapete, gran parte dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia meridionale hanno un atteggiamento come minimo equidistante sul conflitto in Ucraina. Il diplomatico ucraino elencava un’altra serie di fattori che riteneva - credo giustamente - ben più importanti degli errori di comunicazione per spiegare questa situazione: i legami passati di molti paesi con l’Unione sovietica, la propaganda e i legami economici con la Russia, la mancanza di risorse degli ucraini (al ministero degli Esteri ci sono 35 persone per occuparsi dell’interno “sud del mondo”). Ma la prima parte del suo racconto mi è rimasta impressa.
Ho ripensato a questa conversazione mentre per Domani intervistavo Irina Scherbakova, una delle fondatrici di Memorial, l’organizzazione russa premio Nobel per la pace che si occupa di tutelare la memoria dei crimini commessi sotto il regime di Stalin e durante l’Unione sovietica. Scherbakova ha raccontato che dopo essere stata una convinta pacifista per tutta la vita il conflitto in Ucraina le ha fatto cambiare opinione. Avrei voluto chiederle perché, di tutti i conflitti, proprio questo aveva smosso questo radicale cambiamento, ma sfortunatamente non ce n’è stato il tempo.
Le ragioni comunque non sono difficili da dedurre. Scherbakova è una cittadina e storica russa che vive in esilio a causa delle persecuzioni di un regime che, proprio in nome della storia del suo paese, ha lanciato una brutale guerra di aggressione: noi fortunati italiani del presente possiamo solo immaginare le lacerazioni interiori che produce una simile circostanza. Ma c’è un’altra ragione che anche un pacifista non così personalmente coinvolto potrebbe invocare per spiegare l’abbandono dei suoi principi. Come mi ha detto qualche tempo fa un bravo collega del Post: «Questa è la prima guerra da molto tempo in cui ci sono chiaramente dei buoni e dei cattivi».
A proposito di buoni e cattivi, in questi giorni ho ascoltato un podcast dall’accattivante titolo: “Guerra in Ucraina: riscatto della sinistra o avventura neocon?”. Nella conversazione, una delle due presentatrici difendeva, non troppo diversamente dal mio collega del Post, la tesi secondo cui l’attuale conflitto ha una dinamica così chiaramente bianca e nera per cui finalmente la sinistra può schierarsi apertamente, proprio come fece durante la guerra civile spagnola.
A recitare la parte di quello non del tutto convinto di questa tesi c’era il giornalista e ricercatore Hans Kundnani (autore di questo breve e interessante libro appena uscito). Kundnani, in sostanza, invitava a guardare la guerra in Ucraina in un'ottica più ampia. Le devastanti conseguenze che il conflitto sta avendo per il “sud del mondo”, sostiene, non possono essere eliminate dall’analisi se vogliamo davvero guardara alla guerra in una prospettiva di sinistra, che per definizione non può non avere al suo centro il problema delle diseguaglianze. Assunto questo punto di vista, continuava, si viene spinti inevitabilmente verso l’idea che la guerra debba finire in fretta o che almeno la sua intensità deve essere contenuta il più possibile, piuttosto che verso la posizione che una sconfitta russa è necessaria ad ogni costo, qualunque cosa questo significhi.
Qualche giorno ho fatto un breve elenco di quelli che secondo me sono stati gli errori della sinistra sull’invasione dell’Ucraina (in particolare: un disperato giustificazionismo di Putin che sconfina nell’avvallare la sua propaganda) e delle ragioni per cui non è riuscita a fornire trazione alla sua visione del conflitto (e ho ricevuto alcune risposte interessanti). La prospettiva di Kundnani è una ventata di aria fresca rispetto a quanto i progressisti hanno prodotto fino a questo momento sulla guerra (ma certamente non è l’unico e sarò grato a chiunque mi segnalerà argomenti simili).
Penso sia ridicolo e offensivo chiedere alla maggioranza degli ucraini o al loro governo di assumere questa prospettiva (anche se esistono voci isolate che si muovono su questo complicato crinale). Come spettatori del conflitto il nostro ruolo non è salire sulle nostre cattedre lontane dalle bombe per spiegare a chi ha perso amici e casa cosa deve pensare e come lo deve dire. Ma da giornalista - e persona di sinistra - che ha il privilegio di vivere in questo paese sapendo di avere una casa al sicuro dove tornare, tutte queste storie mi hanno ricordato che questo conflitto, per quanto brutale e sanguinoso, non avviene nel vuoto di un mondo giusto e in pace. Per comprendere davvero quello che accade in Ucraina non possiamo ignorare quello che accade oltre l’Ucraina.
Cronache ispirate e profonde
Sarebbe bello sentire tutto ciò anche in televisione da persone di sinistra, però purtroppo prevale la linea Santoro.
È come se fosse difficile fare questi ragionamenti altrimenti si può essere facilmente accusati di atlantismo, di essere guerrafondai e di fomentare una guerra per procura.
La paura di mettersi contro una parte del popolo (ex?) della sinistra rassegnato e confuso.
È come se fosse difficile andare contro e sbugiardare le masturbazioni ideologiche del Conte-Orsini pensiero, per motivi tattico-politici.
Perché? Perché si è così rassegnati? Forse è già una battaglia persa?
Sia ha paura di essere collocati nella stessa barca dei “liberal furiosi”?
I “liberali” sono troppo emotivi, dogmatici a volte (molte). La sparano troppo grossa troppe volte, da mettermi in imbarazzo, ma al nocciolo della questione hanno ragione e sparano infinitamente meno stronzate del Travaglio, Orsini e Telese medio. Questi ultimi tre valorosi giornalisti basano le loro idee su un pacifismo ideale, un cinismo penoso e fatti falsi storicamente con narrazioni letteralmente putiniane. Io non voglio avere letteralmente a che fare con loro. Con i liberali alla fine ci si incazza ma almeno è un dibattito che si basa su fatti reali e interpretazioni/opinioni diverse. Siamo sicuri che si possa fare la stessa cosa con il Santoro, il Dibba, l’Orsini, il Conte, il Telese, il Gomez, la Di Cesare ...? Secondo me No!
Questo è un dibattito che a sinistra deve essere fatto. Secondo me si ha bisogno di una corrente che si collochi tra i liberal-furiosi e il Santoro pensiero, e spero vivamente diventi dominante.
La sinistra ha un problema di puntinismo anche perché molte persone e giornalisti se ne stanno zitti, e io non voglio assolutamente che “quelli pro-ucraini” siano praticamene solo i liberali. Non posso e non voglio crederci.
Per me siamo in un momento da guerra civile spagnola, nel senso che il conflitto è così in bianco e nero, che abbiamo letteralmente un “cattivo” (non il popolo), una guerra di dimensioni enormi come non si vedeva da molto tempo, un intero popolo che subisce delle sofferenze enormi per motivazioni da seconda guerra mondiale e una potenza nucleare che minaccia e ricatta il mondo. (Chiunque controbatta con “ma la guerra in Iraq e la guerra in Afghanistan” deve essere mandato al Gulag.)
Allo stesso tempo le tematiche portate avanti da Kundnani sono essenziali e non possono essere nascoste sotto al tappeto, altrimenti si fa un torto alla causa Ucraina.
P.S. che ne pensi del Caracciolo-pensiero?