È arrivato il momento di trattare?
Le ragioni a favore di una pace buona, se non proprio di quella giusta, non sono mai stati così forti
Per chi dovesse capitare qui per la prima volta, mi chiamo Davide Maria De Luca, sono un giornalista e da poco più di un anno vivo a Kyiv dove faccio il reporter di guerra. Nell’ultima puntata di questa newsletter ho parlato dell’élite guerriera dell’Ucraina. Se ti piace quello che leggi, condividilo con qualcuno a cui pensi possa interessare. E se vuoi sostenermi, puoi iscriverti alla newsletter o seguirmi su X.
Nel giorno che segna il terzo anno di guerra, le ragioni della pace in Ucraina non sono mai state così forti. Ci sono sempre ottime ragioni per mettere fine a qualsiasi guerra il prima possibile: è l’attività umana più distruttiva, raramente è peggiore dell’alternativa.
Oggi, però, la pace non solo corrisponda al desiderio di una fetta maggioritaria degli ucraini, ma le condizioni esterne ci suggeriscono che siamo dentro una stretta finestra all’interno della quale l’Ucraina può ancora ottenere una pace se non giusta almeno "buona".
Partiamo dal primo punto. Da diversi mesi, i sondaggi indicano che la maggioranza degli ucraini è favorevole a un cessate il fuoco, una percentuale probabilmente persino sottostimata, dato che i sondaggisti faticano a interpellare i milioni di ucraini fuggiti in Europa, in Russia o che vivono nei territori occupati: gruppi in cui il sostegno alla guerra è tendenzialmente inferiore rispetto a chi è rimasto nel paese.
Parlando con le persone e studiando i sondaggi, è facile rilevare come non tutti gli ucraini abbiano la stessa idea di pace: se questa implicasse, ad esempio, la cessione permanente di territori, la percentuale di favorevoli scenderebbe. Nel frattempo, circa un terzo degli ucraini interpellati afferma di voler continuare a combattere.
Secondo questa parte dell’opinione pubblica, per niente trascurabile, l’Ucraina deve resistere, il suo esercito continuare a cedere spazio in cambio di tempo, costi quel che costi, fino a che le contraddizioni irrisolvibili dell’economia russa finiranno per paralizzare lo sforzo bellico di Mosca, nel 2026 o forse oltre.
Solo allora, di fronte a un avversario indebolito, l’Ucraina potrà ottenere quella pace sicura da future aggressioni che tutti i suoi cittadini desiderano. Non è un ragionamento sciocco, né è sciocco chi lo fa.
Ma proviamo a fare un passo indietro. Proviamo a chiederci - visto che una pace “giusta” non è probabilmente di questa terra - a cosa somiglierebbe una pace “buona”. Sarebbe una pace che avrebbe le più alte probabilità di garantire agli ucraini ciò che per loro è più importante: un futuro senza violenza, economicamente stabile e con il massimo grado possibile di sovranità.
Molti fattori sembrano indicare che questo risultato sia più facile da ottenere oggi che tra un anno. Anche se la guerra è da oltre un anno in una traiettoria saldamente negativa per Kiev e non si vedono segnali di inversione di tendenza, l’esercito ucraino è ancora lontano dall’essere una forza completamente consumata. E la società, per quanto ferita, mostra ancora segnali di sorprendente compattezza. Chi può garantire che tra un anno la situazione non sarà peggiore?
Fare la pace oggi è pericoloso. Con un cessate il fuoco e la fine della legge marziale, l’esercito ucraino rischierebbe di sfaldarsi: centinaia di migliaia di soldati tornerebbero a casa e sarebbe assai difficile mobilitarli di nuovo nel caso di una ripresa delle ostilità se, come temono molti, Putin non sta negoziando in buona fede, ma attende solo il momento giusto per ricostituire le sue forze e tornare all’attacco.
Tuttavia, la stessa disgregazione, in qualche misura, colpirà anche le forze armate russe, costruite in gran parte da mercenari attratti dagli alti salari che partecipare alla “operazione militare speciale” comporta. Il Cremlino si è già dimostrato estremamente parsimoioso nell’imporre alla popolazione civile le necessità della guerra.
Dopo una pausa nei combattimenti e l’inevitabile proclamazione di una vittoria totale contro “l’Occidente collettivo”, sarà difficile riaccendere un entusiasmo per la guerra che, in realtà, non era mai stato così alto nemmeno all’inizio. Con un’economia che torna a respirare e la prospettiva di un alleggerimento delle sanzioni, prendere tempo potrebbe risultare attraente anche per Putin.
Un cessate il fuoco che non impedisca all’Ucraina di ricevere aiuti militari dai suoi alleati e di ricostituire il suo esercito consentirà al paese di mantenere una forza militare sufficiente a scoraggiare future aggressioni o almeno ad aumentarne il costo.
Altri margini di manovra potrebbero essere ottenuti con concessioni che, per quanto detestabili per qualsiasi popolo indipendente, soprattutto se imposte con la forza, potrebbero rimanere nel campo del simbolico. Per esempio, applicare le leggi già esistenti che vietano la propaganda dei simboli nazisti, oltre che di quelli comunisti, migliorerebbe la posizione dell’Ucraina sia a Ovest che a Est.
Il tempo è dalla parte dell’Ucraina, è vero. Ma bisogna intendersi su cosa significhi. Lo è nel senso che Putin ha 72 anni e il suo regime è ben lontano dall’età dell’oro. Giocare sul lungo periodo significa aspettare che lo zar e il suo regime divengano ancora più deboli, non sperare in un improvviso e improbabile collasso della Russia, pagando con nuove vite e nuove distruzioni ogni mese di attesa.
Ma prima ancora che della Russia e dei territori occupati, gli ucraini dovranno preoccuparsi ricostruire la loro società. Trovare le risorse economiche e intellettuali per riparare il tessuto del paese ed evitare che l’Ucraina si trasformi in quella parodia di Stato fallito che molti credevano fosse prima dell’invasione, sarà un’impresa titanica. L’Ucraina era un paese diviso e diseguale già prima della guerra, e il conflitto ha reso queste fratture ancora più profonde e sanguinose.
Serviranno enormi risorse economiche, ma anche morali e spirituali. E servirà anche molta fortuna. È un percorso strettissimo, e c’è poco spazio per l’ottimismo. Ma iniziarlo ora sarà comunque più facile che farlo tra un anno, quando alle macerie già accumulate si sommeranno altre rovine umane e morali, quando il paese sarà ancora più avvelenato da un altro anno di guerra e violenza.
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A me sembra una resa, imposta dalla ragione ma pur sempre una resa. Per me, da casa, con la distanza salvifica da tutto il sangue e gli strazi di questa aggressione sembra opportuno ma ai morti ucraini glielo dirà lei?