Se è la prima volta che capiti, mi chiamo Davide Maria De Luca, sono un giornalista e da poco più di un anno vivo a Kyiv dove faccio il reporter di guerra. Nell’ultima puntata di questa newsletter ho parlato delle cinque lezioni che ho preso da quando mi sono trasferito. Se ti piace quello che leggi, condividilo con qualcuno a cui pensi possa interessare. E se vuoi sostenermi, puoi iscriverti alla newsletter o seguirmi su X.
In Ucraina è arrivato il momento di indossare la giacca quando si esce alla sera, segno inequivocabile della fine di un’estate particolarmente densa di eventi. La stagione calda era iniziata con l’incursione russa a Kharkiv, è proseguita con quella ucraina a Kursk e si è avviata verso la sua ventosa conclusione la scorsa settimana, con la missione di Zelensky a Washington, densa di aspettative ma conclusasi con l’ennesimo calcio per spingere qualche passo più in là il momento delle decisioni difficili. Facciamo un punto, quindi, per capire dove siamo in questo conflitto.
Kursk
Iniziamo da nord, per la precisione dai circa mille chilometri quadrati di territorio russo conquistati dagli Ucraini con la loro incursione iniziata il 6 agosto - un’area che ho visitato con le truppe ucraine la scorsa settimane e che, in modo non inaspettato, mi ha fatto inserire nella lista dei ricercati da Mosca, con l’accusa di ingresso illegale nel paese.
La situazione militare non è cambiata rispetto alla mia analisi pubblicata su Domani dopo il primo mese dall’inizio dell’attacco: il Cremlino continua a non cadere nella trappola ucraina. L’incursione viene contenuta spostando sul nuovo fronte truppe di seconda linea, mentre le unità più preparate delle forze armate di Mosca continuano ad attaccare nel Donbas. Persino Zelensky ha dovuto ammettere che è ancora presto per determinare se l’incursione è stata un successo, un cambio di linea piuttosto rilevante rispetto ai primi giorni dell’attacco.
Il fronte ucraino
Dopo quasi un anno di offensive localizzate lungo quasi tutta la linea di contatto (quella che alcuni hanno soprannominato la “strategia delle fette di salame”), l’esercito russo sembra non aver ancora esaurito il suo potenziale. I soldati di Mosca attaccano a nord nel settore di Kupiansk, nella regione di Luhansk e Donetsk, sono vicini ad occupare la cittadella fortificata di Vulhedar e minacciano gli ultimi grandi centri urbani che gli ucraini controllano in Donbass: Pokrovsk, Kramatorsk e Sloviansk.
Analisti e militari ucraini danno ormai per scontato che alcune di queste località strategiche dovranno presto essere abbandonate. Vulhedar è quella più in bilico, ma prima dell’arrivo dell’inverno anche Pokrovsk, snodo logistico chiave della regione, potrebbe subire la stessa sorte. Viste le difficoltà a occupare città di decine di migliaia di abitanti, sembra improbabile che nei prossimi mesi i russi possano fare un “grande slam”, ossia occupare tutti i centri abitati che gli mancano nella regione.
Ma un significativo arretramento delle linee ucraine viene dato ormai per inevitabile. L’esercito di Kyiv soffre in particolare della mancanza di soldati, secondo un recente articolo del giornalista Christopher Miller l’età media dei soldati nelle unità di prima linea è arrivata ormai a 45 anni. Ma mancano anche le fortificazioni adeguate, mentre le forze armate russe mantengono la superiorità in fatto di munizioni di artiglieria, aerei e droni.
Il fronte interno
Con alcune vistose eccezioni, la situazione nel resto del paese, lontano dal fronte, è cambiata poco. Kyiv è ancora la città che descrivevo un anno fa. Al suo centro ricca - quasi opulenta, con supermercati traboccano di formaggi italiani e i locali notturni hanno la fila all’ingresso - anche se rimane una città dove basta grattare poco per trovare tracce della guerra nelle storie di ciascun abitante.
Come gli altri grandi centri ucraini, anche la capitale si prepara a un inverno senza elettricità. I bombardamenti russi di questa primavera-estate sono stati senza precedenti e hanno ridotto le infrastrutture elettriche ucraine a cumuli di macerie.
Quando i consumi per il riscaldamento saranno al massimo, tra dicembre e marzo, se gli elettricisti ucraini non faranno un miracolo, la situazione sarà difficile. Le stime prudenti indicano sei ore di elettricità al giorno con dieci gradi sotto zero. Se non ci saranno altri attacchi, chi ha il riscaldamento centralizzato, circa il 50 per cento delle case nei centri abitati, non dovrebbe avere problemi. Il governo ha invitato gli altri a dotarsi di fonti di riscaldamento autonomo e di pannelli solari.
Dopo i blackout di questa estate, con 38 gradi e sei ore di elettricità al giorno che hanno costretto i supermercati a ridurre i banchi frigo e gli uffici senza fonti di energia autonoma a chiudere o ridurre il lavoro, generatori sono comparsi di fronte a centinaia di locali in tutta la città, pronti a entrare in funzione in caso di nuovi blackout.
Nel frattempo, il prezzo dell’energia si è alzato ancora e il Fondo monetario internazionale ha chiesto di svalutare ancora la moneta nazionale. Sette milioni di ucraini, uno su quattro, sono già sotto la soglia di povertà. In una cità come Kyiv, a cui sono stati risparmiati i peggiori bombardamenti e dove ancora i reclutatori non hanno ancora iniziato a pattugliare le strade del centro. I segnali non sono facili da notare - un banco verdura che inizia a essere monotoni alle distribuzioni di cibo gratuito, iniziate anche a Maidan.
I negoziati
Una pluralità di Ucraini ormai dichiara apertamente di essere favorevole a un negoziato con la Russia, ma cosa questo comporti rimane nebuloso. Molti sarebbero disposti a cedere almeno parte dei territori occupati, altri invece mettono come precondizione per ogni trattativa l’integrità territoriale del paese.
Tuttavia è difficile immaginare come in un paese in guerra e sotto legge marziale queste pressioni dal basso possano produrre un significativo cambiamento di politiche. Come scrivevo nella mia precedente newsletter, saranno le autorità di Kyiv a decidere se e quando negoziare. Il costo della guerra, per quanto terribile, non ha raggiunto il livello necessario a un crollo del morale interno tale da forzare il governo a una scelta - i civili pagano le tasse, i militari obbediscono agli ordini e la maggioranza degli ucraini, dicono i sondaggi, continua a credere in una futura vittoria, per quanto nebulosa e poco definita essa sia.
Cosa pensano quindi dei negoziati coloro che decideranno davvero, cioè le autorità ucraine e il circolo sempre più stretto attorno al presidente Zelensky? Difficile discernere una linea coerente nelle azioni degli ultimi mesi. Da un lato, i leader ucraini sembrano aver rinunciato alla riconquista militare di tutti i territori occupati e hanno aperto alla presenza di delegati russi alla prossima conferenza di pace, che in teoria dovrebbe tenersi tra poco più di un mese - sarebbe il primo incontro diretto e pubblico tra diplomatici ucraini e russi in oltre due anni.
Secondo alcuni critici di Zelensky, il recente viaggio a Washington avrebbe dovuto segnare uno spartiacque, con il presidente ucraino che presenta un ultimatum alla Casa Bianca, più armi e ingresso nella Nato, e in caso di rifiuto, si prepara a trattare con la Russia, giustificandosi presso la sua opinione pubblica con l’abbandono da parte degli alleati. Tesi affascinante, ma di cui al momento mancano le conferme.
L’amministrazione Biden ha respinto le richieste ucraine nel modo più netto senza arrivare all’umiliazione pubblica di Kyiv, ma Zelensky per ora non sembra interessato a farne un caso politico.
L’incursione a Kursk, inoltre, va in senso opposto a queste conclusioni. L’attacco ha irrigidito ulteriormente le posizioni del Cremlino, che ha chiuso anche i minuscoli spiragli di dialogo che aveva lasciato aperti nell’estate. Tutto può cambiare molto in fretta, ma oggi solo non la pace, ma anche un semplice cessate il fuoco appare più lontano ancora di quanto sembrasse meno di due mesi fa.
Grazie di aver letto fino a qui! Sono giorni abbastanza intense per me, tra la mia visita a Kursk e la risposta del governo russo. Per ora posso dire che non dovrebbero esserci grandi conseguenze. La lista dei paesi che hanno una cooperazione giudiziaria con la Russia, dove quindi potrei essere immediatamente arrestato se vi facessi ingresso, non è pubblica ma mi è stato sconsigliato di visitare, oltre alla Russia e la Bielorussia, anche l’Asia centrale e mi è stato suggerito di essere prudente nei confronti della Cina. In risposta a questa situazione ho ricevuto apprezzatissimi gesti di solidarietà dal direttore e dalla redazione di Domani, da colleghi ed amici. A voi, pazienti lettori, chiedo solo di iscrivervi a questa newsletter, se non lo avete già fatto, e di parlarne con chi pensate potrebbe esserne interessato. Piccoli gesti, ma per me molto significativi. Alla prossima!
Grazie per questo articolo. È importante conoscere da chi è sul campo. Sia prudente! È più importante la sua vita!
Una domanda vorrei fare: quanto grande è il territorio occupato dai Russi al momento? Potrebbe fare un esempio con province o regioni italiane, affinché io possa capire? Grazie. Sia saggio, non rischi la pelle!