Per chi dovesse capitare qui per la prima volta, mi chiamo Davide Maria De Luca, sono un giornalista e da poco più di un anno vivo a Kyiv dove faccio il reporter di guerra. Nell’ultima puntata di questa newsletter ho parlato dei negoziati di pace. Se ti piace quello che leggi, condividilo con qualcuno a cui pensi possa interessare. E se vuoi sostenermi, puoi iscriverti alla newsletter o seguirmi su X.
Martedì sera, per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa, migliaia di ucraini sono scesi in piazza per protestare contro l’attacco subito dalle principali agenzie anticorruzione del Paese, NABU e SAPO, lanciato da governo e parlamento. Al grido di «L’Ucraina non è la Russia», i manifestanti hanno affollato la piazza di fronte al teatro Ivan Franko, sotto le finestre dell’ufficio presidenziale nella capitale, Kyiv, per spingere Volodymyr Zelensky a non firmare la legge approvata a tambur battente dal parlamento nel pomeriggio di ieri. Altre centinaia di persone sono scese in piazza a Odesa, Lviv e Dnipro.
È un momento delicatissimo per il Paese, con il terzo round di negoziati Ucraina-Russia fissato per oggi a Istanbul e il fronte nella situazione più precaria dal 2022. Le truppe russe arrivate ormai ai margini della strategica città di Pokrovsk e il concreto rischio è che, caduta questa posizione, le truppe di Mosca possano compiere un balzo in avanti di decine di chilometri, avvicinandosi al loro obiettivo di occupare l’intero Donbass.
C’è molto da decifrare nelle proteste di queste ore e nelle mosse di Zelensky che le hanno generate. Partiamo da queste ultime. Dopo aver eroso ai margini la democrazia ucraina utilizzando i poteri speciali conferitigli dallo stato di guerra per circa due anni, nelle ultime settimane Zelensky e il suo entourage hanno lanciato un attacco diretto contro quella che ritengono essere la loro principale avversaria: la galassia dell’attivismo anticorruzione sostenuta dagli alleati occidentali dell’Ucraina.
Il primo bersaglio è stato Vitaly Shabunin, controverso ma famosissimo presidente del Centro per l’Azione Anticorruzione (ANTAC), arrestato nel corso di un’indagine per diserzione aperta da mesi e ritenuta da molti una persecuzione politica. La decisione ha portato alle prime accuse di deriva antidemocratica sulla stampa internazionale, ma non ha prodotto forti reazioni dai partner occidentali. Questa mancanza di reazione sembra aver incoraggiato Zelensky.
Lunedì, due settimane dopo l’arresto di Shabunin, i servizi di sicurezza e la procura generale ucraina, entrambi organi sotto diretto controllo presidenziale, hanno lanciato una vasta operazione contro la NABU, una sorta di polizia speciale anticorruzione, e contro la SAPO, la procura che si occupa di portare in tribunale i casi identificati dalla NABU. Uno dei principali detective della NABU è stato arrestato con l’accusa di essere una spia russa, mentre più di 70 funzionari delle due organizzazioni sono stati perquisiti.
Mentre gli osservatori stavano ancora valutando le conseguenze di questa operazione senza precedenti, una proposta di legge per mettere NABU e SAPO sotto il controllo del procuratore generale, e quindi subordinarle al governo, è arrivata in parlamento dall’ufficio presidenziale, accompagnata dal messaggio che il presidente avrebbe osservato attentamente il voto, ha scritto il giornalista Christopher Miller. I parlamentari della fazione di Zelensky, insieme a diversi partiti alleati, hanno immediatamente messo ai voti la proposta, che è passata a larga maggioranza.
Nel giro di poche ore dal voto, i manifestanti erano già in piazza. Ma la loro speranza – persuadere Zelensky a mettere il veto – è andata delusa. Il presidente ha firmato la legge e, poche ore dopo, nel suo consueto messaggio notturno, ha spiegato la sua decisione accusando spie russe di essersi infiltrate negli organismi anticorruzione, senza nemmeno nominare le proteste.
Queste mosse di Zelensky sono state descritte variamente come un autogol, un suicidio politico pianificato da un entourage presidenziale ormai scollegato dalla realtà e in pieno delirio di onnipotenza. Ma, al di là di come andrà a finire, va riconosciuto che c’è della razionalità dietro questa apparente follia.
Secondo alcuni, Zelensky avrebbe deciso di colpire proprio ora perché NABU e SAPO si preparavano a lanciare a breve una nuova inchiesta per corruzione che avrebbe colpito direttamente la sua cerchia ristretta. Se questa circostanza si rivelasse corretta, dovremmo presto vedere fughe di notizie in proposito.
Ma anche se così non fosse, il momento scelto appare comunque propizio. Zelensky ha deciso di lanciare il suo colpo di mano in piena estate, quando le ferie iniziano a decimare cancellerie e parlamenti e l’attenzione, anche in Ucraina, si allontana dalle faccende politiche. Gli altalenanti rapporti con il presidente americano, Donald Trump, sono al livello migliore da diversi mesi a questa parte e, anche se qualche esaltato MAGA ha già usato le proteste per attaccare Zelensky, c’è da dubitare che Trump muova un dito in sostegno dello stato di diritto ucraino e ancor meno dei suoi attivisti anticorruzione, che in gran parte appartengono al mondo liberal e cosmopolita dei centri urbani, delle ONG e dei media finanziati da donatori internazionali, bestia nera dei nazionalisti.
NABU e SAPO rappresentano la quintessenza dell’interventismo liberale benintenzionato. Sono due istituzioni che Stati Uniti e, soprattutto, Unione Europea hanno imposto all’Ucraina in cambio di aiuti economici e del continuo percorso di integrazione. Sono indipendenti dal governo e i loro membri vengono scelti tramite un processo che include decisori internazionali – rappresentano quindi un’oggettiva limitazione della sovranità ucraina.
Anche per questo la legge di Zelensky ha avuto il voto del partito sovranista e conservatore dell’ex premier Yulia Tymoshenko, che ha attaccato le agenzie anticorruzione accusandole di aver «derubato il popolo ucraino della sua sovranità» e chi le difende di aver contribuito a far «colonizzare» (dagli occidentali) l’Ucraina. Con lei e con il partito di Zelensky hanno votato anche i parlamentari dell’ex partito filorusso, Piattaforma di Opposizione – Per la Vita.
Zelensky e i suoi alleati puntano a utilizzare un mix di patriottismo sovranista e di ragion di stato legata al conflitto per far digerire il ridimensionamento delle agenzie anticorruzione tanto al pubblico ucraino quanto agli alleati, consapevoli che l’interesse per un cambio alla presidenza è al minimo e i metodi concreti per riuscirci sono molto ridotti.
Difficile dire se vincerà questa scommessa. Sappiamo per certo che Zelensky è spaventato dalle mobilitazioni di piazza e che in passato ha cercato di prevenirle e delegittimarle (poco prima del siluramento del generale Valery Zaluzhny, i servizi di intelligence avevano lanciato una campagna in cui accusavano la Russia di voler organizzare una “Maidan 3”, ossia una serie di proteste di piazza per rovesciare il governo).
Probabilmente, Zelensy non si attendeva una reazione così rapida dal pubblico ucraino e, se è così, ha fatto un clamoroso errore. Bastavano un paio di conversazioni casuali nel centro di Kyiv per scoprire che le ragazze e i ragazzi del 2014 erano più che pronti a tornare in piazza contro un governo che, soprattutto dal 2022, hanno sostenuto, senza però mai accettarlo veramente.
Ma la piazza, di per sé, non è sufficiente a mettere in crisi una presidenza come quella di Zelensky, rafforzata dai poteri di guerra. L’aiuto principale ai manifestanti potrà arrivare dai partner internazionali dell’Ucraina. La Commissione europea ha già preso una dura posizione contro l’approvazione della legge, e il gruppo di ambasciatori dei Paesi del G7, che ha sempre svolto il ruolo di “guardia del corpo” dei media e degli attivisti liberali, ha criticato le mosse che l’hanno preceduta. Ma senza l’intervento di leader di primo piano, come Macron e Merz, è difficile che Bruxelles da sola riesca a far tornare Zelensky sui suoi passi.
Un aiuto chiave potrebbe venire dalle élite ucraine, ma le loro forze sono frammentate e i loro interessi non necessariamente allineati a quelli dei manifestanti. La politica è divisa, con Zelensky che è riuscito ad assemblare una coalizione eterogenea a favore della sua stretta autoritaria, mentre la maggior parte delle forze di opposizione non ha la credibilità, né l’appetito, per affrontarlo su questo terreno.
Gli alti comandi militari, sottoposti a una continua girandola di nuove nomine e sostituzioni, sono quasi tutti fedelissimi della presidenza. Ci si può attendere maggior attivismo da singoli militari provenienti dai gradi più bassi dell’esercito e magari da alcuni comandanti di corpo, come il I Corpo Azov e il III Corpo d’Assalto, entrambe formazioni che provengono dall’estrema destra ucraina e che hanno mostrato una certa indipendenza politica.
Il nuovo governo, nominato da Zelensky la scorsa settimana, ha già provato a disarmare l’ultima possibile opposizione interna: ciò che resta degli oligarchi ucraini, già colpiti in precedenza dalle purghe presidenziali, e la comunità degli imprenditori. Il primo atto della nuova premier, Yulia Sydorenko, è stata la sospensione di quasi tutte le ispezioni fiscali, sanitarie e lavorative nei confronti della gran parte delle imprese ucraine, una mossa che si inserisce nella lunga lista di decisioni a favore del capitale e che, fino a oggi, hanno tenuto il mondo del business in stretta alleanza con l’esecutivo.
Restano la forza e la vitalità della società civile ucraina, che in soli trent’anni di indipendenza ha già messo in atto tre diverse rivoluzioni di successo. Se queste forze, più o meno da sole, saranno sufficienti a portarne al successo una quarta, sarà davvero un caso storico e degno di essere studiato.
Come sempre, se siete arrivati a leggere fino a qui, lasciate che vi ringrazi. Se vi è piaciuto quello che avete letto e volete restare aggiornati con altre riflessioni sull’Ucraina e a volte qualcos’altro, basta inserire qui sotto la vostra email.