Se è la prima volta che vedi questa newsletter qui puoi trovare qualche informazione su chi sono e su che cos’è questo progetto. Nell’ultima puntata ho raccontato il ritorno dei blackout in Ucraina. Se ti piace quello che leggi, condividilo con qualcuno a cui pensi possa interessare. E se vuoi sostenermi, puoi iscriverti alla newsletter o seguirmi su X.
Giovedì è arrivato l’atteso via libera della Casa Bianca agli attacchi ucraini su territorio russo con armi americane. L’elemento chiave che ha portato a questo cambiamento è l’offensiva che un mese fa l’esercito russo ha lanciato contro la regione di Kharkiv. A differenza dei combattimenti in Donbas, che si svolgono su territori ucraini occupati, questa nuova offensiva è partita dal territorio nazionale russo, dove gli ucraini non potevano usare le armi più avanzate fornite dai loro alleati.
Auspicato dagli ucraini e dai loro sostenitori come l’unica mossa in grado di invertire il corso del conflitto, temuta da molti come il primo passo verso la Terza guerra mondiale, il via libera agli attacchi in Russia e il dibattito che lo circonda nasconde una questione complessa e sfaccettata, in cui le considerazioni militari sono importanti tanto quanto quelle politiche. Allaciamo gli scarponi da lettura intensiva e prepariamoci a una lunga marcia per capire cosa significa questa svolta e quali conseguenze potrebbe avere per tutti noi.
Le linee rosse di Biden
Fin dai primi giorni dopo l’invasione su larga scala, l’aiuto che gli Stati Uniti - e buona parte dei loro alleati - hanno fornito all’Ucraina è stato sottoposto a due condizioni: nessun coinvolgimento diretto di personale militare e niente attacchi sul suolo russo con le armi inviate nel paese.
Biden e il suo staff, come il consigliere per la sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, in diverse occasioni hanno parlato esplicitamente di pericolo di “Terza guerra mondiale” se queste due condizioni fossero state violate - in altre parole, l’immagine di questo pericolo estremo è stata introdotta nel dibattito dalle massime autorità degli Stati Uniti.
L’impegno a non inviare truppe in Ucraina è piuttosto facile da comprendere. Non colpire in territorio russo con le armi degli alleati è invece un divieto molto complicato da interpretare di come appare a prima vista, anche perché i protocolli che regolano l’uso delle armi spedite in ucraina sono segreti. Per comprendere la situazione sono necessarie almeno quattro precisazioni.
Gli ucraini attaccano regolarmente la Russia con armi di loro produzione. Il divieto imposto dagli Usa riguarda l’utilizzo di armi fornite dagli Stati Uniti per attaccare in Russia. Questo non ha impedito agli ucraini di utilizzare armi di fabbricazione propria per questo tipo di attacchi. Gli Ucraini hanno colpito bersagli in territorio russo fino a 1.500 chilometri oltre il confine, mentre le incursioni compiute in territorio russo da truppe ucraine e alleate sono state spesso supportate dall’artiglieria. Infine, la città russa di Belgorod (dall’altro lato del confine rispetto a Kharkiv) e i suoi dintorni vengono bombardati di frequente da droni e artiglieria ucraini.
Armi Usa sono state usate nello spazio aereo russo. Il divieto imposto dagli Usa si applicava soltanto a ciò che si trova saldamente ancorato a terra. Gli aerei russi, invece, erano considerati un bersaglio legittimo per i missili antiaerei americani forniti a Kiev. Fonti ucraine e Usa hanno confermato oltre una dozzina di abbattimenti nello spazio aereo russo avvenuti con missili americani Patriot. Il segretario della Difesa Usa Lloyd Austin ha confermato in una conferenza stampa che la battaglia nello spazio aereo è in effetti un “caso speciale”. Altri funzionari Usa hanno dichiarato in forma anonima che non ci sono restrizioni a colpire nello spazio aereo russo.
Il divieto riguardava attacchi in profondità con armi fornite dagli alleati. In altre parole, agli ucraini è stato esplicitamente vietato di usare missili a lungo raggio in territorio russo. Lungo raggio, in questo contesto, significa centinaia di chilometri. I missili forniti a Kyiv da Stati Uniti, Francia e Regno Unito e possono colpire bersagli fino a 300 chilometri. Fino ad oggi questo divieto sembra sia stato in gran parte rispettato. O, almeno, non sono emersi episodi di una sua violazione.
Attacchi immediatamente al di là del confine con armi alleate potrebbero già essersi verificati. Numerosi soldati ucraini hanno parlato della frustrazione provata nelle ultime settimane nel non poter colpire le truppe russe che attaccavano Kharkiv al riparo oltre il confine russo. È possibile che queste dichiarazioni vadano intese nel senso che gli ucraini non hanno potuto colpire i russi con le armi più avanzate a loro disposizione. Così come gli ucraini hanno sempre bombardato la città di Belgorod, è probabile che abbiano colpito oltre confine con le loro armi e, forse, con quelle più comuni fornite dagli alleati, come la semplice artiglieria. Gli Usa possono controllare l’utilizzo delle armi avanzate che forniscono all’Ucraina, come i lanciatori Himars, ma non possono tenere traccia dei milioni di proiettili di artiglieria che hanno inviato nel paese.
Il via libera
Giovedì, diverse fonti della Casa Bianca, confermate da dichiarazioni di Zelensky e del suo ufficio, hanno riferito che gli Stati Uniti hanno cambiato le regole di ingaggio sulle armi che forniscono all’Ucraina autorizzando Kyiv a colpire bersagli nemici impegnati nella recente offensiva contro la città di Kharkiv anche se si trovano su suolo russo.
Non ci sono stati cambiamenti pubblici di protocolli, ma per quanto è possibile capire dalle dichiarazioni rilasciate da funzionari anonimi, gli Stati Uniti hanno autorizzato attacchi entro un centinaio chilometri dal confine ucraino, mantenendo fermo il loro divieto di attacchi a lungo raggio.
Le basi russe, le postazioni di artiglieria e i concentramenti di truppe diventano quindi bersagli legittimi. Gli aeroporti e i centri comando situati più lontano o in regioni lontane da Kharkiv, invece, rimangono off limits. Stesse regole, a quanto detto da Zelensky al giornalista Shaun Walker, valgono anche per i missili forniti da Francia e Regno Unito - che a parole erano sembrate invece dare un via libera totale.
È la terza guerra mondiale?
Arrivati a questo punto, dovrebbe essere chiaro che quello che abbiamo davanti non è un’escalation senza precedenti del conflitto. Siamo davanti a un cambiamento quantitativo, non qualitativo. Ci saranno probabilmente più attacchi ucraini in Russia e saranno compiuti con armi più sofisticate. Ma non accadrà nulla che non è già successo in precedenza.
A questo va aggiunto che la linea ufficiale di Mosca e della sua propaganda è che l’impegno degli alleati in Ucraina è già abbondantemente superiore a quello dichiarato pubblicamente. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, ad esempio, aveva dichiarato prima del via libera americano che gli ucraini avevano già usato armi Usa in territorio russo. In altre parole, per Mosca è complicato giustificare un’escalation in risposta a qualcosa che si sostiene avvenga ormai da tempo.
Per il momento, il Cremlino accetterà con ogni probabilità l’aumento di frequenza degli attacchi ucraini senza compiere mosse eccessivamente azzardate, soddisfatto dei limiti che gli Stati Uniti hanno imposto alla nuova politica (niente attacchi in profondità e lontano dal campo di battaglia di Kharkiv). Potrebbero esserci ulteriori rappresaglie contro bersagli civili o militari in Ucraina (come nuovi attacchi contro la rete energetica), ma non sarà l’inizio della Terza guerra mondiale.
La questione politica
Dal punto di vista militare, il divieto americano all’uso di armi Usa in Russia era destinato a cadere. Con l’offensiva su Kharkiv, la paradossale situazione di venire bombardati senza poter rispondere al nemico in cui si sono trovati gli ucraini non poteva durare ancora a lungo. Le necessità militari, il fatto che il divieto fosse stato tatticamente superato dagli eventi, però, non tolgono nulla all’enorme questione politica sottesa a tutta la vicenda.
Riassunto nella maniera più brutale possibile, il punto nascosto dall’attuale dibattito è questo: gli alleati sono pronti a compiere qualsiasi sacrificio che sarà necessario per condurre l’Ucraina alla vittoria o siamo arrivati ai limiti di questo supporto?
Quello che hanno dimostrato l’ultimo anno di combattimenti e in particolare la recente offensiva di Kharkiv è che nelle attuali condizioni tutto ciò che l’Ucraina può fare è dissanguarsi mantenendo faticosamente i territori attualmente sotto il suo controllo. Il ritorno ai confini del 1991 e l’imposizione a Putin di una pace alle condizioni di Kyiv sono obiettivi irraggiungibili senza l’arrivo sul campo di nuovi fattori.
La situazione è ormai fuori dal controllo degli ucraini. Come ho raccontato nell’ultimo spiegone, la difficile e dolorosa scelta di mandare al fronte nuove generazioni di ucraini non serve a garantire una vittoria alle condizioni ideali, ma soltanto ad evitare la peggiore delle sconfitte. La vittoria, ossia una pace negoziata a condizioni diverse da quelle imposte da Putin, richiederà un impegno degli alleati su una scala che ancora non abbiamo visto.
La leadership di Kyiv ha ormai accettato che questa è la situazione e in più di un’occasione ha dimostrato che, con le buone o le cattive, è intenzionata a trascinare i riottosi alleati in un crescente impegno nel conflitto. Di per sé, l’autorizzazione a usare certi missili contro alcuni bersagli in Russia non è che un buffetto in una rissa. Ma, un pezzo per volta, Kyiv punta a spingere gli alleati a un nuovo livello di coinvolgimento.
Per vincere, la leadership ucraina ha bisogno di un multiplo delle risorse ricevute fino ad ora e probabilmente di un coinvolgimento molto più attivo di Stati Uniti ed Europa nel conflitto, coinvolgimento che potrebbe arrivare fino a un ruolo diretto nei combattimenti.
Europei e americani, invece, sono incerti e divisi, schiacciati tra le pressioni di Kyiv, parte degli alleati e influenti segmenti dell’opinione pubblica che premono per un’escalation dell’impegno e la vasta maggioranza che di ulteriore coinvolgimento non vuole sentire parlare.
Tentando di conciliare due estremi non conciliabili, forniscono a Kyiv quel tanto che basta a tranquillizzare il fronte pro-Ucraina quando diviene troppo vocale (ieri i carri armati, poi gli F-16 e oggi gli attacchi in Russia), ma evitano accuratamente quell’escalation pericolosa, certo, ma che nel prevedibile futuro sarebbe l’unico modo di arrivare a una conclusione vittoriosa del conflitto. Evitano anche di proporre l’altra possibile strada, almeno pubblicamente. Quella più ingiusta e difficile, quella che parte ricordando a Kyiv che nel prossimo futuro difficilmente le condizioni per negoziare una pace saranno migliori di oggi.
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molto chiaro, descrive la realtà
Complimenti, bel lavoro, anche se ho poca simpatia per il termine spiegone. Sei riuscito a mettere ordine in tutto il "white noise" della cronaca quotidiana, pur partendo da quella