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Nelle prime settimane dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, Mosca e Kyiv hanno trattato intensamente per giungere a una conclusione del conflitto, ma l’accordo non si è mai concretizzato. Due anni dopo, la pubblicazione di numerosi documenti e le dichiarazioni dei protagonisti permettono di farci un’idea di quanto davvero la pace sia stata a portata di mano. Come sempre con gli #SpiegoniUcraini, preparate una bevanda e uno spuntino, perché anche questa volta sarà una lunga traversata.
I fatti
I primi negoziati di pace tra Ucraina e Russia sono iniziati appena quattro giorni dopo l’inizio dell’invasione, il 28 febbraio 2022, in una residenza di campagna del presidente della bielorussia, Alexander Lukashenko. Sono proseguiti per oltre un mese, con incontri in Turchia, riunioni in videoconferenza e scambi di bozze e proposte via chat. Dopo aver fatto progressi riconosciuti da entrambe le parti, i negoziati si sono spenti nel corso della seconda metà di aprile.
La fonte migliore che abbiamo sull’evoluzione delle trattative sono tre documenti elaborati dalle due delegazioni nel corso delle trattative pubblicati per intero dal New York Times lo scorso 15 giugno. Vediamoli brevemente:
La bozza di trattato del 17 marzo, che include le annotazioni fatte dalle due parti sui numerosi punti su cui ancora non c’era accordo. Nel documento, l’Ucraina si impegna a non entrare nella Nato e chiede garanzie di sicurezza ai suoi alleati. La Russia non è disposta a significative concessioni e chiede il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass.
Il comunicato di Istanbul del 29 marzo, una dichiarazione di intenti congiunta in cui la Russia si impegna a discutere il futuro della Crimea in un periodo di 10-15 e apre alla possibilità di ritirarsi dai territori occupati dopo il 24 febbraio 2022 e non rivendica più l’indipendenza per il Donbass.
La bozza di trattato del 15 aprile, l’ultimo documento prima dell’interruzione dei negoziati. Come nella bozza del 17 marzo, nel testo sono evidenziate tutti i punti su cui le parti non sono ancora d’accordo. La Russia chiede il potere di veto nel meccanismo di garanzia che prevede un intervento armato degli alleati in caso di futura invasione. I due paesi inoltre non sono d’accordo sulle limitazioni in fatto di numero di truppe e di armamenti che dovranno avere le forze armate ucraine.
Samuel Charap e Sergey Radchenko, due studiosi che lo scorso 16 aprile avevano pubblicato l’analisi delle trattative più completa fino a quel momento, hanno confermato che si tratta degli stessi documenti che hanno avuto modo di esaminare.
I negoziati
Questi documenti restituiscono un quadro abbastanza fedele dei negoziati rispetto a com’era possibile seguirla in diretta nel marzo nell’aprile del 2022. Ripercorriamo rapidamente quei giorni.
Nei primi incontri di fine febbraio e marzo la Russia fa richieste durissime: riconoscimento dell’indipendenza delle regioni di Donetsk e Luhansk, annessione della Crimea e modifica della costituzione per stabilire la neutralità del paese. Soltanto nella seconda metà di marzo, con il fallimento dell’iniziale colpo di mano russo e l’aumentare della resistenza ucraina, la situazione inizia a sbloccarsi.
Il 16 marzo, Zelensky annuncia che è disposto ad accettare la neutralità dell’Ucraina (cioè l’impegno a non entrare nella Nato). Il presidente ucraino e i negoziatori ucraini formulano anche la domanda che sarà per loro il punto centrale per il resto del negoziato: la presenza negli accordi di garanzie di sicurezza che prevedano un intervento militare degli alleati in caso di nuova invasione. È in questi giorni che viene elaborato la bozza del 17 marzo, il primo documento pubblicato dal New York Times.
Con l’inizio dei negoziati in Turchia, sotto l’auspicio del presidente Recep Tayyip Erdoğan, sembra che una svolta sia possibile. Prima del vertice, Zelensky annuncia pubblicamente le condizioni ucraine: neutralità, da confermare con un referendum, e compromesso sullo status del Donbass in cambio di garanzie di sicurezza e senza prevedere alcuna demilitarizzazione né riconoscimento dell’annessione di territori ucraini.
Il 29 marzo, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan annuncia i punti su cui le parti si sono accordate: neutralità, promozione del russo a seconda lingua nazionale dell’Ucraina, garanzie internazionali pari all’articolo 5 della Nato, nessun riconoscimento di annessioni di territori e future consultazioni sullo status della Crimea. Sostanzialmente, si tratta del contenuto del comunicato di Istanbul. Siamo arrivati probabilmente al punto più avanzato dei negoziati. I due paesi sono d’accordo su uno schema di massima, ma mancano ancora molti dettagli cruciali.
I primi giorni di aprile sono densi di eventi. Le truppe russe si ritirano dal nord dell’Ucraina, in quello che Putin più avanti sosterrà essere un gesto di buona volontà. Il primo aprile viene scoperto il massacro di Bucha. L’opinione pubblica ucraina e internazionale si irrigidisce all’idea del negoziato, ma durante la sua visita nella cittadina distrutta, il 4 aprile, Zelensky assicura che le trattative proseguono, nonostante il massacro, che definisce «un genocidio».
Le parti nel frattempo continuano a scambiarsi bozze sulla base del comunicato di Istanbul. Il 7 aprile, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov respinge una delle proposte ucraine dicendo che contiene termini inaccettabili, senza specificare quali. Probabilmente si tratta di alcune delle annotazioni chiave fatte dagli ucraini a quella che poi diventerà la bozza del 15 aprile.
Il 9 aprile, il primo ministro britannico Boris Johnson visita a sorpresa Kyiv e dichiara che con Putin non bisogna negoziare, ma metterlo sotto pressione. Tre giorni dopo, Putin dice che gli accordi sono un punto morto. Ma lo scambio di bozze va avanti ancora per qualche giorno, fino all’elaborazione del documento del 15 aprile. I due punti chiave: la Russia vuole il potere di veto su futuri interventi militari da parte degli alleati in Ucraina e chiede una riduzione delle forze armate ucraine che Kyiv ritiene inaccettabile.
Il 16 aprile, Zelensky parla per un’ultima volta di un possibile accordo e parla esplicitamente della possibilità di sottoscrivere due documenti: uno che delinei i termini di coesistenza con la Russia e un secondo che contenga le garanzie di sicurezza con i paesi che vorranno fornirle. Si tratta dell’ultima dichiarazione sul processo negoziale che da quel momento sarà abbandonato.
I retroscena
Da questa narrazione dei fatti a nostra disposizione emerge un fallimento dei negoziati su alcuni punti degli accordi: il sistema di garanzie per tutelare l’Ucraina da future invasioni e le dimensioni della sua demilitarizzazione richiesta dalla Russia. A colorire questa lettura ci sono però diverse dichiarazioni dei partecipanti che illuminano ulteriormente il quadro e sottolineano il ruolo degli alleati di Kyiv - secondo alcuni, determinante nel far fallire i negoziati.
L’elemento principale a sostegno di questa tesi è una lunga intervista all’allora primo ministro israeliano, Naftali Bennett, che nella prima fase dei negoziati ha contribuito in maniera rilevante. L’intervista è molto lunga e consiglio di guardare tutta la parte sull’Ucraina. Una cautela: gli sforzi di Bennett si sono concentrati nella prima parte di marzo. La palla è successivamente passata ad altre figure. Inoltre, al momento del rilascio dell’intervista, Bennett era un ex leader che stava difendendo le sue azioni quando era in carica.
Nell’intervista, Bennett dice molte cose, sostanzialmente in linea con quanto già sappiamo. All’inizio di marzo, tanto ucraini quanto russi fecero importanti concessioni, la rinuncia alla Nato da un lato e quella alla “denazificazione” dall’altro (che Bennett interpreta come la decisione di Putin di rinunciare all’eliminazione di Zelensky, la principale concessione che, dice, sarebbe personalmente riuscito a ottenere da presidente russo).
Bennett elenca una serie di problemi che avrebbero impedito di raggiungere l’accordo definitivo. Concorda sul fatto che uno dei principali era la volontà di Kyiv di ricevere garanzie militari da parte degli alleati. Bennett racconta di aver detto esplicitamente a Zelensky che queste garanzie non sarebbero mai arrivate e che l’Ucraina avrebbe dovuto difendersi da sola, come Israele (omettendo il fatto che Israele possiede armi nucleari e che la Russia chiedeva una significativa riduzione delle forze armate ucraine in cambio della pace).
Bennett afferma poi che dopo la scoperta del massacro di Bucha ha pensato che ogni possibilità di negoziato fosse svanita. Bennett descrive poi le posizione degli alleati dell’Ucraina nei confronti dei negoziati. Il Regno Unito contrario, Francia e Germania favorevoli, Stati Uniti nel mezzo. Nell’ultima parte dell’intervista, Bennett afferma che gli alleati dell’Ucraina avrebbero “fermato” i negoziati (va sottolineato che a questo punto, metà aprile, Bennett non era più coinvolto direttamente nelle trattative). Quando questa parte dell’intervista è stata ripresa su X da Elon Musk, Bennett è intervenuto per affermare di non essere sicuro «che si potesse raggiungere un accordo».
Il 17 giugno 2023, Putin ha mostrato un foglio di carta affermando che si trattava dell’accordo firmato dalla delegazione ucraina e successivamente abbandonato su pressione degli alleati. Il Cremlino non ha pubblicato il documento, ma si tratta probabilmente di una delle bozze scambiate tra le delegazioni dopo l’incontro di Istanbul.
A novembre, Putin ha ricevuto una risposta dal negoziatore ucraio David Arakhamia, secondo cui è falso che l’accordo fosse stato firmato, poiché la delegazione ucraina non aveva il potere di farlo. Arakhamia parla anche del ruolo del primo ministro britannico, Johnson. Dopo gli incontri di Istanbul, il primo ministro britannico avrebbe comunicato a Kyiv che «noi [gli alleati] non firmeremo nulla con la Russia» e li avrebbe esortati a continuare a combattere.
Che Johnson non volesse firmare accordi con la Russia è particolarmente importante poiché il meccanismo di garanzie in caso di future invasioni chiesto da Kyiv ed emendato dal Cremlino prevedeva un accordo tra Russia e alleati dell’Ucraina. In altre parole, doveva essere il frutto di negoziati diretti tra Russia, Stati Uniti ed Europa.
Il fatto che Johnson avrebbe chiarito che gli alleati non avrebbero partecipato a un simile meccanismo di sicurezza in comune con la Russia, spiegherebbe perché il 16 aprile Zelensky avrebbe parlato della possibilità di firmare due accordi separati, uno con la Russia e uno di sicurezza con gli alleati.
Conclusioni
Stando ai documenti, le trattative di pace tra Ucraina e Russia sono fallite per l’impossibilità di accordarsi sulle garanzie militari che avrebbero dovuto proteggere l’Ucraina da futuri attacchi. Mosca non è sembrata disponibile ad accettare un’Ucraina che rinuncia alla Nato, ma riceve in cambio garanzie militari altrettanto significative ed un esercito moderno ed efficace in grado di difendere il paese da future aggressioni.
Non bisogna dimenticare, però, che in tutto questo racconto non c’è un singolo elemento che indichi che, qualora Mosca fosse stata più aperta sul punto delle garanzie militari, Stati Uniti ed Europa sarebbero stati davvero disposti a concederle. Kyiv chiedeva l’utilizzo diretto delle loro forze armate per difendersi da future aggressioni: una promessa che nessuno leader europeo o americano avrebbe potuto fare alla leggera.
È in questo quadro che vanno lette le divisioni di quei giorni tra gli alleati e le pressioni di alcuni di loro affinché gli ucraini continuassero a combattere per ottenere condizioni migliori. Condizioni migliori che, implicitamente, non li avrebbero costretti a impegnarsi a inviare soldati in un futuro conflitto ed essere per questo puniti dalle loro opinioni pubbliche.
Emerge quindi una contraddizione fondamentale nella posizione degli alleati dell’Ucraina. Da un lato hanno a lungo messo in guardia Kyiv dal fidarsi di qualsiasi garanzia Putin avesse promesso loro nel corso del negoziato, dall’altro non hanno fornito risposte quando è stato chiesto loro di fornire quelle garanzie.
Non bisogna dimenticare il ruolo degli ucraini in queste vicende, un popolo ben lungi dall’essere un burattino in mano alle grandi potenze. La scoperta dei crimini di guerra commessi dai russi a Bucha e in altri luoghi dell’Ucraina, unita a una nuova fiducia nelle proprie capacità militari, hanno aumentato la determinazione ucraina a proseguire il conflitto e ristretto molto i margini per un accordo.
Come hanno scritto Samuel Charap e Sergey Radchenko, le trattative erano probabilmente destinate a un inevitabile collasso. Sono avvenute troppo presto e hanno avuto ambizioni nobili, fermare un conflitto distruttivo e sanguinoso, ma troppo elevate.
Si potrebbero fare ulteriori riflessioni da questi spunti. Perché, ad esempio, gli alleati promettono imperituro sostegno all’Ucraina quando non sembrano disposti né a fornirle l’aiuto necessario a vincere il conflitto, né le garanzie a ottenere una pace soddisfacente? Quali altre strade diplomatiche, magari meno ambiziose ma più facili da percorrere, si sarebbero potute battere o si potranno tentare in futuro? Ma di tutto questo e di molto altro sarà meglio occuparci in un’altra puntata.
Grazie per aver letto fin qui! Continua questo nuovo esperimento di “spiegoni” che cerco di alternare alle normali newsletter. Farlo richiede molto lavoro aggiuntivo e, se hai apprezzato questo sforzo, puoi mettere un piace, lasciare un commento o, se non lo sei già, considera la possibilità di iscriverti inserendo la tua mail qui sotto. Non costa nulla e il tuo supporto mi aiuta molto. Grazie!
Grazie Davide per questo Spiegone. Ieri, dopo avere ascoltato la discussione tra Sachs e Giacalone, ho deciso di leggere l’articolo di Foreign Affairs per avere un’idea più precisa della questione che hai affrontato oggi. E se da un lato mi ha fatto riflettere molto l’idea che la pubblica opinione possa avere avuto un peso così forte sulle decisioni degli alleati di Kyiv - non mi sembra una cosa da dare così per scontata - dall’altro ho la sensazione che un’occasione così per l’Ucraina si presenterà tra “troppo” tempo. Ma per questo aspetto il prossimo spiegone, e grazie ancora.
Come era già chiaro dall'articolo di Foreign Affairs, le trattative si sono incagliate sul disarmo
dell'Ucraina e sul potere di veto russo nei confronti del meccanismo di garanzia. Quali garanzie sarebbe stato possibile fornire in questo contesto e fuori dalla Nato, considerando che il precedente meccanismo di garanzia (Budapest) è risultato essere carta straccia?